sabato 4 agosto 2012

Povere mura

Nel  tardo pomeriggio assolato passiamo a piedi, Monica e io, sul sagrato della parrocchiale. Nel luglio infuocato della pianura, le porte laterali sono lasciate aperte a far correre un fiato d’aria. La chiesa vuota sembra voler dire qualcosa. Un senso di pietà e gratitudine ci coglie, insieme e all’improvviso, per quelle mura millenarie. È la chiesa dei nostri battesimi, dei battesimi dei nostri genitori, dei nonni e dei loro nonni. È la chiesa delle nozze, nostre e di amici. La chiesa del battesimo di Luca. La chiesa dei canti, degli amici riuniti, di tanti volti amati e perduti. Ora, nel vespero luminoso, gravida di voci assenti, tacendo ci parla.
Le venerande mura stanno. Così, semplicemente, da secoli. Han veduto vagiti, voli di riso e risa a manciate, parole rotte dal pianto. Le volte disadorne, i pilastri tenaci, le poche immagini offerte alla venerazione dei fedeli. Ai due ingressi – sempre risuonanti dei passi di quanti sono arrivati e partiti – le acquasantiere di marmo, color della pece, secche d’acqua santa ma colme all’orlo delle lacrime di gioia e dolore di intere generazioni.
In mille anni saranno una piccola folla, ormai anonima per lo più. Qualche nome, provando a sfidare l’oblio, è inciso su una lapide che quasi nessuno più scruta. Se ascolto, ne riconosco i passi fruscianti. Quelli degli uomini “in lunghe vesti”. Entrando qui, taluni se ne saranno presto spogliati – di vesti e paludamenti – desiderando ardentemente indossare “l’unico paramento sacro che viene ricordato nel vangelo”. Altri – mostrando forse di pregare a lungo –  avranno pensato ad allargare il guardaroba, a guadagnarsi saluti di piazza e posti di prima fila. Alcuni avranno amato quelle mura da innamorati folli, fecondandole di passione e di amore, perché si facessero grembo di figli e figlie, casa comune di fratelli e sorelle. Altri le avranno soltanto possedute per obbedienza, amministrate per incarico, con poca anima e niente cuore, senza incanto né tormento.
Tant’è. Le povere mura sopravvivranno, agli uni e agli altri. E anche a noi. Sopra di esse ancora andranno cieli tersi e nubi plumbee. Finché Dio vorrà accoglieranno speranze, ascolteranno segreti, attenderanno ritorni. Gli uomini passano, con le loro grandezze e le loro miserie. Esse restano. La pietà che per loro ci coglie, in questo giorno ormai al declino, in verità è solo barlume di fronte alla Grande Compassione che le abita e di cui vogliono continuare ad essere mute testimoni. Compassione per l’umano, per tutto l’umano. E che non potrà che essere l’ultima parola su ciascuno e su tutti. Davvero su tutti.

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lunedì 21 maggio 2012

Per questo disegno d'amore...

Durante la messa di ieri, celebrata nel il rito ambrosiano, sono stato colpito da un’espressione usata nel prefazio, che è la preghiera che il sacerdote fa prima di consacrare il pane e il vino. In essa, tra le altre cose, si dice che “Per riscattare la famiglia umana il Signore Gesù… vinse il mondo con il suo dolore e la sua morte”. L’idea veicolata da una simile espressione è ancora quella del sacrificio. Davanti agli occhi del pio praticante la visione che si staglia è più o meno la seguente: all’alba dei tempi il mondo viene creato da Dio una volta per tutte; Dio pone l'uomo al centro del creato, ma subito questi disobbedisce a certe norme più o meno sensate, offendendo il Creatore in maniera mortale e ponendo un germe di inimicizia tra sé e lui. Occorre qualcuno che lo “riscatti” da questa distanza.
Questo è il primo problema, che riguarda essenzialmente il volto di Dio. Un Dio evidentemente perennemente corrucciato dai giorni dell’Eden. Una sorta di inquieto Barbablu che vedendo morire sulla croce l’unico Figlio, improvvisamente ottiene di placare la propria collera nei confronti del genere umano che lo aveva offeso nella persona dei progenitori. A parte tutte le altre questioni che vengono aperte da una tale  ingenua visione delle cose, mi chiedo: ma può un dio dal profilo così ambivalente, che pretende di essere padre e nel contempo desiderare la morte del figlio come pieno risarcimento per il peccato commesso da altri, avere qualche possibilità di credibilità nel suo essere buono e misericordioso? Come si può affermare la piena gratuità dell'amore di Dio se ancora, nella esperienza di fede, sussiste indisturbata questa immagine di dio? Come non prevedere che si crei una grande confusione mentale in chi la prenda sul serio e che alla lunga tale confusione sfoci in nevrosi?

La seconda perplessità va a braccetto con la prima: sono il dolore e la morte di Gesù a “vincere il mondo” o piuttosto la sua ferma decisione a rendere testimonianza alla propria visione del mondo? Il sangue versato non è forse la inevitabile conseguenza del suo voler restare fedele a se stesso e del suo modo di intendere la vita? La morte violenta non è lo sbocco prevedibile del suo pressante annuncio del regno di Dio, così scomodo per il potere religioso e politico del tempo e di tutti i tempi? Perché dunque nel cuore del rito eucaristico, facendo memoria di tutto ciò, ci si ostina a sottacere la causa sottolineando l’esito? Perché le persone sono ogni volta invitate a riflettere sul dolore finale e molto meno sull’intima decisione di Gesù, quella che ha pervaso tutta la sua esistenza terrena? Decisione di offrire una ricetta di una possibile convivialità e di stare dalla parte degli oppressi sino alle conseguenze più estreme. Decisione di annunciare la Bontà senza condizioni che desidera che gli uomini vivano e vivano in pace.

Soltanto nella chiara consapevolezza della “fedeltà al mondo” da parte di Gesù, del coraggio radicale di parteggiare per i piccoli e per gli esclusi. Soltanto facendo piazza pulita da ormai incomprensibili e imbarazzanti immagini di Dio. Soltanto allora potremo essere “riconoscenti e ammirati per questo disegno d’amore, ed elevare uniti agli angeli e ai santi l’inno di lode”.

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domenica 25 marzo 2012

Assemblea di condominio














Assemblea straordinaria dello stabile. Problemi di cassa. Un membro ha un arretrato di spese da pagare. Sei mesi, un migliaio di euro, effetti tangibili della crisi economica.
Il branco condominiale prima latra, poi minaccia di mordere. Mandargli l'ufficiale giudiziario al campanello, che faccia un giro nell'appartamento e pignori il salotto. O la macchina.
Feroci soprattutto i condòmini con la pensione di reversibilità in saccoccia e il beneamato coniuge sotto un metro di terra. Il giorno dopo me li ritrovo sulle prime panche della messa vespertina, a biascicare giaculatorie. Vi si celebra un amore così gratuito e potente da risuscitare un morto di quattro giorni. E nessuno di loro che abbia il buon gusto di alzarsi ed uscire.

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giovedì 8 marzo 2012

Il parroco che sapeva tutto

È una storia che avrebbe potuto ispirare Alphonse Daudet. Angéline la racconta come una favola per farci sorridere. Tutti i dettagli sono inventati perché l'essenziale è assolutamente autentico. I fatti si sono svolti in Francia, quest'anno.

È un paese come ce ne sono a migliaia; una grossa borgata, con la caserma dei carabinieri, la scuola media e il supermercato, due farmacie e tre panetterie, e due bar, uno dove si gioca la schedina e l'altro che dispone i suoi tavolini in piazza sotto i platani. In primavera, sembra di essere in paradiso e in estate l'aria diventa così asciutta e calda che bisogna proprio rinfrescarla con il pastis servito con l'accento tipico del posto.

Ah, dimenticavo la cosa fondamentale... almeno nella mia storia: la nostra chiesa, una bella chiesa grande, piazzata lì da secoli. Oggi c'è rimasto solo un parroco, per noi e per tutti i paesi dei dintorni.

Allora, il parroco vive metà del tempo in automobile. Nel tempo che gli resta incontra tutte le persone che si occupano della parrocchia, le signore che fanno il catechismo, che visitano gli anziani alla casa di riposo, che preparano i funerali, i battesimi, i matrimoni, che mettono i fiori davanti all'altare, che spolverano i banchi... No, esagero, non ci sono solo delle signore, ci sono anche alcuni signori. Ad esempio, c'è Jacques, l'ex professore di musica della scuola media, che fa cantare tutti durante la messa.

Quell'uomo è una persona molto brava, solo che... Solo che la sua vita non è stata molto semplice. Prima di tutto, ha sposato una ragazza, che un bel giorno se n'è andata lasciandogli un bimbo di tre anni. Poi si è innamorato di una professoressa di matematica molto carina. Venticinque anni e tre figli dopo, è subentrata la noia e l'amore se n'è andato. Siccome di figli a casa non ce n'erano più, hanno divorziato promettendosi di restare amici, e così hanno fatto. Pensava che il suo cuore fosse troppo vecchio per innamorarsi ancora, quando ha incontrato Bénédicte, una vedova tutta dolcezza e delicatezza, e dotata di una voce splendida. Bénédicte, come dice il suo nome, era una benedizione. Ed è stata lei a riportarlo a Dio... e alla Chiesa, ed è così che è diventato il direttore del coro della parrocchia.

Allora, quello che vi ho raccontato risale a quando c'era il vecchio parroco, un bravo parroco, un po' obeso, riconoscibile per la sua polo da parroco; uno del posto, che usava spesso la parlata locale per raccontare le storie del Vangelo come se si fossero svolte sulla collina vicina. Ahimé, il nostro buon parroco era troppo vecchio, allora il vescovo ce ne ha mandato uno nuovo nuovo, stretto nel suo colletto nero. Un bel giovanotto dalle idee chiare quanto i suoi occhi, che sa stirarsi le camicie e non ha bisogno di mettersi delle polo.

Il nostro nuovo parroco è un modello recente ben attrezzato. Ha studiato a lungo, e quindi sa tutto, quello che bisogna fare e quello che non bisogna fare. Così, risparmia molto tempo, perché non ha bisogno di ascoltare, solo di dire quello che bisogna fare.

Ad esempio, ha detto alla vecchia Geneviève, una maestra in pensione che non fa mai errori di ortografia, che ormai si sarebbe occupato lui del giornalino parrocchiale, perché con il suo computer si fa in fretta. E così è toccato a lui fare le fotocopie, il che è un po' lungo, perché la fotocopiatrice si surriscalda e bisogna sempre aspettare un po' dopo ogni tiratura di venti copie. Perché vi racconto tutto questo? Per mostrarvi che a volte ci sono segni della Provvidenza in tutte le piccole cose. Vedrete!

Allora, il nostro buon Jacques, che aveva creduto che il suo cuore fosse troppo vecchio, si era sbagliato di una decina d'anni. Ma una sera aveva portato la mano al petto, aveva barcollato ed era morto per una crisi cardiaca prima dell'arrivo dei soccorsi.

Lettori e lettrici, non piangete, non rattristatevi: non aveva forse avuto una bella vita l'amico

Jacques? Aveva amato molto ed era stato ricambiato. Nessuno dubitava che Dio lo avrebbe accolto a braccia aperte e che avrebbe potuto unire la sua voce a quella dei beati e degli angeli. Beh, dire nessuno... forse è troppo. Il nostro nuovo parroco, lui, sapeva che quel Jacques lì era un peccatore, che aveva divorziato due volte e viveva da adultero con una terza donna. Quindi, era assolutamente escluso che potesse venir celebrato per lui un funerale da buon cristiano. Questione non negoziabile!

Non vi ripeterò le parole che sono state dette. Sapete, in questo paese, non abbiamo peli sulla lingua. Ma neppure dopo essere stato apostrofato con i più fantasiosi epiteti tratti dal regno animale, il giovanotto non demordeva e nessuno poteva obbligarlo a fare ciò che non voleva. È a questo punto che la mia storia comincerà a divertirvi!

Ah, non vuole farlo, si dissero i parrocchiani furenti, adesso vedremo...

Perché dovete sapere che il signor parroco nuovo aveva già acquisito una serie di abitudini e tutti i venerdì mattina si occupava del “suo” giornalino parrocchiale, e con la vecchia fotocopiatrice gli ci voleva tempo. Il fatto è che la fotocopiatrice è installata nel presbiterio, in uno stretto sottoscala, che ha una porta con una chiave, una chiave che sta all'esterno, perché quella porta deve essere chiusa.

Il signor parroco è stato inflessibile su questo punto: “Questo presbiterio è aperto ai quattro venti! D'ora in poi, le porte dovranno essere chiuse!” Allora, quella mattina, qualcuno ha eseguito gli ordini... e ha chiuso la porta! E, casualmente, era proprio la mattina del funerale di Jacques. Chissà com'è successo, quando il carro funebre è passato davanti alla chiesa, ha rallentato come per salutarla un'ultima volta a nome

di Jacques... e poi, alla fine, si è fermato. I giovanotti delle pompe funebri, bravi ragazzi del paese, hanno preso la bara per offrire a Jacques un ultimo giro, un arrivederci. E, per caso, in chiesa, c'erano gli amici di Jacques, che si erano riuniti per pregare per lui! Gli amici, i figli, i nipoti, le donne che aveva amato, i suoi ex alunni, i suoi amici professori... E dato che Jacques era lì, ne abbiamo approfittato per ringraziare il buon Dio di averci fatto conoscere una persona buona come Jacques, e per pregarlo di dargli un bel posto nel suo paradiso... Abbiamo riso e pianto e perfino la sua prima moglie ha detto che era l'uomo più gentile che lei avesse incontrato nella sua vita grama.

E, per finire, abbiamo tutti seguito il carro funebre al cimitero.

E quando siamo tornati, oh santo cielo! Abbiamo scoperto che qualcuno, sbadatamente, aveva chiuso il sottoscala delle fotocopie, chiudendovi dentro il signor parroco. Ma poverino! Gli abbiamo detto che eravamo proprio desolati, che avevamo solo applicato le sue consegne: chiudere le porte a chiave.

Non vi nascondo che era molto, ma veramente molto arrabbiato, soprattutto perché aveva visto il carro funebre. Quando ha urlato che non avevamo il diritto, Geneviève, benché sia una donnina minuta, si è alzata sulla punta dei piedi e gli ha puntato sul naso un dito minaccioso di maestra elementare dicendo: “Ah, signor parroco, non dica così; che le piaccia o no, i cristiani non si seppelliscono come i cani. Questa chiesa è nostra, non sua. Sono i nostri antenati che l'hanno costruita, allora non è un signorino appena uscito da scuola che può insegnarci quello che abbiamo il diritto di fare o di non fare.” Ha girato i tacchi ed è tornata ad occuparsi delle sue rose.

E il signor parroco nuovo, dagli occhi chiari come le sue idee, è salito furente a casa sua facendo i gradini quattro a quattro. E nessuno sa quando ne ridiscenderà.

in : www.finesettimana.org

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sabato 18 febbraio 2012

Sant'Antoni del purcell

Leggo:
“Domenica 15 gennaio a XXX, come è consuetudine, si è festeggiato solennemente il compatrono S. Antonio Abate, molto amato dalla popolazione. E’ stato venerato nella S. Messa delle ore 11,00 sostenuta dal Coro Parrocchiale diretto dal Maestro XXX e, terminata la celebrazione, i parrocchiani si sono stretti attorno a molti tavoli imbanditi per degustare la “cassoeula” , sapientemente cucinata da un’equipe di cuochi sopraffini, “quelli della rosticceria di Cascina Santa Cotica”!!!
Tutta la Comunità si è poi radunata in processione lungo le vie del paese per testimoniare l’attaccamento alla figura del Santo e per manifestare l’orgoglio di una fede così concretamente vissuta!
Presso il Centro XXX, dove è terminata la processione accompagnata dalla Banda di XXX, è stato acceso il falò che tanto entusiasma grandi, “molto grandi” e piccini che, tutti insieme hanno apprezzato le ottime frittelle, preparate ovviamente dalla già rinomata cucina parrocchiale”.

È un ritaglio di bollettino parrocchiale in terra di Brianza.
Non so se ridere o piangere di fronte a questo ingenuo impasto di idolatria e culinaria, per cui il “manifestare l’orgoglio di una fede così concretamente vissuta” alla fin della fiera sembra tradursi nel mettere le gambe sotto un tavolo per addentare il maiale fumante, prima d'aver portato a spasso per il paese la statua del santo di turno.
Davvero penso che ognuno debba poter credere come vuole, e come può. Certo è che con questo tipo di approccio, tra fumi d’incenso e di rosticceria, la vita del ghiotto devoto probabilmente filerà via liscia come l’olio per molti e molti anni, colesterolemia permettendo.
Le cose andranno diversamente quando, in nome della medesima fiducia nell’evangelo, il pio devoto si trasformi in credente e voglia testimoniare almeno qualche aspetto della radicalità richiesta da Gesù ai suoi: sedere a mensa con i rifiutati, parteggiare per gli esclusi, chiamare pane il pane e vino il vino di fronte alla violenza e al sopruso. Guardarsi dal blandire il potere, persino quello religioso, ma desiderare soprattutto la giustizia nei confronti dell’orfano e della vedova.
Facile allora che per lui si faccia buio su tutta la terra. E che persino la banda taccia.

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