giovedì 30 giugno 2011

Ma noi occupiamoci del vangelo












La questione della successione a Tettamanzi mi lascia un po' interdetto. Se ne leggono di tutti i colori su Angelo Scola ancor prima d'averlo sentito parlare da vescovo di Milano. "Dai frutti li riconoscerete"... Diamogli un po' di tempo. Se verrà e inizierà subito a trafficare a destra e a manca non sarà un buon segnale.

Vito Mancuso su Repubblica dice bene: c'è bisogno di ascolto. Saprà il nuovo arcivescovo saper ascoltare?
Se è per questo, un gruppo di credenti della mia comunità qualche tempo fa scrisse una lettera al cardinale Tettamanzi, manifestando perplessità circa le modalità di costituzione della neonata Comunità pastorale che ha coinvolto anche la nostra parrocchia... Ebbene, dal buon Dionigi nemmeno due righe di risposta, sempre che la missiva sia giunta a destinazione. Ad ogni modo questo è accaduto: cristiani scrivono al loro vescovo e questi non li degna di una parola, tutto cade nel vuoto, o rimbalza come contro un muro di gomma. Che dire, dunque, a proposito di ascolto?

Scola o chi per lui, siamo sempre col naso all'insù ad aspettare qualche cosa che ci piova addosso. "Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo"? E poi lamentiamo l'anacronismo di talune prassi ecclesiastiche, immutabili dal medioevo a questa parte e che lasciano a pochi decidere tutto sulla testa della gente, senza la minima possibilità per le persone di esprimere un parere in questioni importanti per la vita della Chiesa. Ma se la gente semplice non viene minimamente interpellata quando si tratta di costituire una comunità pastorale (ad esempio: a nessun monsignore interesserebbe sapere che cosa ne pensi il "popolo di Dio" di dover camminare con questa piuttosto che con quella parrocchia), come volete che l'opinione della stragrande maggioranza dei cattolici di una diocesi possa contare qualche cosa nella nomina del vescovo?

Forse dovremmo smetterla di guardare il cielo. Dovremmo non parlare più del nuovo vescovo, o di quello antico. Quello che dovremmo fare è invertire la direzione del nostra attenzione e fissare lo sguardo verso il basso. Distoglierlo dalle porpore e dagli onori degli ecclesiastici di professione per rivolgerlo al Crocifisso presente nella comune storia degli uomini.

Ha ragione quel prete che in questi giorni si esprime così: il Vaticano "doveva controbilanciare il sindaco di sinistra. Per loro tutto si gioca sul potere. Ma noi occupiamoci del vangelo e dei più deboli della terra . Poi, ancora una volta, affidiamo a Dio nella preghiera e nell'impegno i piccoli semi che gettiamo nel solco del quotidiano".

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sabato 4 giugno 2011

Come nel medioevo

A Milano han fatto il sindaco. La maggioranza dei milanesi ha scelto Giuliano Pisapia. Fra qualche settimana arriverà il nuovo vescovo. Chi lo sceglie? I credenti della diocesi ambrosiana, manco a dirlo, non hanno nessuna voce in merito. Tutto gli piove dal cielo: la comunità pastorale, il nuovo parroco, figuriamoci il vescovo! La Chiesa cattolica, si sa, non è certo incline ai cambiamenti. Ma una piccola riforma di una prassi medievale, nel terzo millennio, non sarebbe quanto meno auspicabile?
A tal proposito ricevo questo interessante articolo che desidero rilanciare, prima che il gallo schiatti.

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Chiesa monarchia feudale
di Piero Stefani


Nel 2011 Milano assisterà al rinnovo di due cariche. Una è già avvenuta con l’elezione di Giuliano Pisapia a sindaco della città: un fatto dalla valenza politica rilevante che, con ogni probabilità, sarà assunto nei libri di storia come svolta irreversibile nel declino politico dell’attuale presidente del consiglio. A seguito di questo esito elettorale si stanno infatti mettendo in moto dinamiche che diffondono, a vasto raggio, la convinzione secondo la quale Berlusconi ha imboccato, senza chance di recupero, il viale del tramonto. Pure se, ipoteticamente, non fosse così, l’esistenza di questa vasta percezione contribuisce in modo significativo a far sì che sia effettivamente così. Tutt’altro il discorso su quanto avverrà dopo: qui l’incertezza regna sovrana.

L’altra carica da rinnovare è quella di arcivescovo. Nel 2009, il card. Tettamanzi ha dato le dimissioni per raggiunti limiti di età. Come è ormai prassi, l’incarico gli è stato rinnovato per due anni. Anche questi ultimi sono ormai scaduti. Da mesi fioccano le previsioni sul successore. Se la nomina, non l’ingresso, fosse avvenuta prima delle elezioni amministrative, difficilmente qualcuno avrebbe ipotizzato una volontà da parte della Chiesa cattolica di influire sul risultato elettorale. È meno vero il contrario. Specie se la scelta, come molti prevedono, cadrà infine sul card. Scola, sarà arduo scacciare il sospetto secondo cui una delle variabili che ha fatto propendere la bilancia dalla parte dell’attuale patriarca di Venezia sia stata la presenza di Pisapia a palazzo Marino. Si tratterebbe di un sospetto tutt’altro che infondato, diretto a screditare ulteriormente l’immagine che la Chiesa cattolica offre di se stessa. Ancora una volta si è sbagliata, quanto meno, la tempistica. Anche se fatta con debito anticipo, una nomina come quella di Scola sarebbe stata inevitabilmente letta come una vittoria di CL, ma lo stile sarebbe stato meno compromesso. Se poi, ora, prevalesse un altro candidato, anche in questo caso sarebbe, ugualmente, dietro l’angolo il sospetto che la sua nomina sia stata influenzata da una variabile politica.

Legato al confronto tra l’elezione del sindaco di Milano e la nomina del futuro arcivescovo vi è, comunque, un aspetto più profondo di quello connesso alla cronaca politica. Dopo molti anni la sinistra riprenderà a governare Milano in virtù di un consenso che le viene dalla maggior parte dei cittadini. Con tutti i suoi limiti, il ricorso alle urne evidenzia, in modo efficace, le scelte della cittadinanza. Nulla di equivalente in seno alla diocesi ambrosiana. Qui si è in attesa di una nomina che viene dall’alto senza che sia possibile influenzarla in alcun modo.

Quando cambia un vescovo, i fedeli devono solo aspettare la decisione di Roma. Il nunzio indaga, consulta, propone terne (ma non sempre, per Milano non è stata fatta), infine consegna il plico al papa. Poi tutto procedere nelle stanze vaticane, finché giunge l’annuncio, secondo tempi e modi lasciati alla discrezione del pontefice. Il sistema di nomina dall’alto può avere esiti anche molto positivi. In base a esso, negli ultimi giorni del 1979, Carlo Maria Martini fu nominato, a sorpresa, vescovo di Milano. D’altra parte se, in quell’occasione, si fosse dato libero corso alle dinamiche interne alla diocesi ambrosiana, nessuno si sarebbe stupito se CL fosse riuscita a far vincere un suo candidato. Eppure il verticismo monarchico in base al quale si attende un pastore senza consultare le sue future pecore, continua a essere espressione di una Chiesa retta dall’equivoco di spacciare per tradizione irreformabile l’arroccamento attorno ad alcune specifiche fasi della propria storia.

Il fatto che, fino all’epoca medievale, il vescovo fosse eletto da clero e popolo, lungi dall’evitare abusi, spesso li favorì. Inserita in un sistema feudale, questa prassi garantì il predominio di alcune grandi famiglie. Per mutare clima si imboccò la via delle riforme. Nel caso della nomina del vescovo di Roma, dal 1059 essa è, per esempio, affidata ai cardinali. I nostri tempi sono lontanissimi dal Medioevo. Ogni riforma va a sua volta riformata. Avviare processi grazie ai quali i fedeli di una diocesi abbiano parte attiva nella scelta del loro pastore è opzione che solo una forma miope di gestione del potere si rifiuta di prendere in considerazione.

Nel 374 Ambrogio, governatore della provincia romana dell’Emilia-Liguria con sede a Milano, fu eletto, contro il suo parere, vescovo della città a furor di popolo. Ciò avvenne quando Ambrogio non era ancora battezzato (pur essendo già cristiano). Sulla scorta di questo precedente, qualche autore surrealista potrebbe scrivere una piéce teatrale al termine della quale Giuliano Pisapia siede a capo della diocesi ambrosiana. Non auspichiamo tanto. Ci basterebbe che si traessero le debite conseguenze dal fatto che la struttura monarchica e lo spirito feudale, lungi dal far parte dell’intima natura della Chiesa, ne rappresentano solo una fase storica avviata, da gran tempo, sul viale del tramonto. Tuttavia proprio la prolungata dilazione del crepuscolo, fa sì che essa sia ancora in grado di gettare lunghe ombre sul suolo ecclesiale.

Piero Stefani

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