C’è un ramo d’ulivo spezzato in questa settimana santa ormai alle porte. Non sta sui banchetti posti fuori le chiese, presi d’assalto dai fedeli la domenica della palme. Non entra a far parte della coreografia ingessata delle processioni, quelle che vorrebbero ricordarci nel loro beato salmodiare il procedere tragico di Gesù verso il compimento della sua storia umana, in quei primi giorni d’aprile dell’anno 30, nella città di Gerusalemme.
C’è un ramo d’ulivo spezzato, e la storia è sempre la stessa: si abbatte come una sventura inevitabile su chiunque voglia provare a dire una parola di verità. Su chi si schieri dalla parte dei piccoli, degli schiacciati e degli uccisi contro l’arroganza di un unico potere dai molti nomi, che come un virus nefasto ammorba la manciata di giorni che abbiamo da vivere su questa terra. Si chiama Denaro, Supremazia, Dominio…
Dire la verità, mettersi contro, può costare il prezzo della vita. Come ha provato a dire e fare Vittorio Arrigoni, classe 1975, nato in Brianza e morto a Gaza, a motivo della sua irrevocabile decisione di combattere a mani nude un pezzetto dell’ingiustizia del mondo. Stare dalla parte delle vittime, dei bambini morti sotto i bombardamenti israeliani di “piombo fuso”, del pianto inconsolabile delle madri. Dare da mangiare a bocche affamate e assetate, non soltanto di pane e acqua, ma di giustizia e dignità. Denunciare la violenza inenarrabile delle armi, l’agonia di un popolo.
Non saprei dire, forse Vittorio non si professava cristiano. Cosa importa? Certamente lo era, per quel surplus di umanità che incarnava e ribadiva in ogni occasione. Sicuramente sta nella schiera di quei “martiri inconsapevoli” d’essere tanto prossimi a quell’idea di Dio che incendiò la vita di Gesù di Nazaret. Un Dio la cui gloria “è l’uomo vivente”. Perché dove c’è spirito di umanità, di compassione, di misericordia e di soccorso, abita questo Dio dal cuore di carne, fatto a immagine del cuore di un bambino. Lì egli abita, molto più che in tutte le sacre liturgie del mondo.
A questo ramo d’ulivo spezzato, fratello tenero e forte, affamato di giustizia, alla sua pasqua silenziosa, pegno per una fioritura che darà molto frutto, il nostro ricordo vivido e la nostra totale riconoscenza.
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Vittorio non è mai stato così vivo come ora
Egidia Beretta Arrigoni
Bisogna morire per diventare un eroe, per avere la prima pagina dei giornali, per avere le tv fuori di casa, bisogna morire per restare umani? Mi torna alla mente il Vittorio del Natale 2005, imprigionato nel carcere dell’aeroporto Ben Gurion, le cicatrici dei manettoni che gli hanno segato i polsi, i contatti negati con il consolato, il processo farsa. E la Pasqua dello stesso anno quando, alla frontiera giordana subito dopo il ponte di Allenbay, la polizia israeliana lo bloccò per impedirgli di entrare in Israele, lo caricò su un bus e in sette, una era una poliziotta, lo picchiarono «con arte», senza lasciare segni esteriori, da veri professionisti qual sono, scaraventandolo poi a terra e lanciandogli sul viso, come ultimo sfregio, i capelli strappatagli con i loro potenti anfibi.
Vittorio era un indesiderato in Israele. Troppo sovversivo, per aver manifestato con l’amico Gabriele l’anno prima con le donne e gli uomini nel villaggio di Budrus contro il muro della vergogna, insegnando e cantando insieme il nostro più bel canto partigiano: «O bella ciao, ciao…»
Non vidi allora televisioni, nemmeno quando, nell’autunno 2008, un commando assalì il peschereccio al largo di Rafah, in acque palestinesi e Vittorio fu rinchiuso a Ramle e poi rispedito a casa in tuta e ciabatte. Certo, ora non posso che ringraziare la stampa e la tv che ci hanno avvicinato con garbo, che hanno «presidiato» la nostra casa con riguardo, senza eccessi e mi hanno dato l’occasione per parlare di Vittorio e delle sue scelte ideali.
Questo figlio perduto, ma così vivo come forse non lo è stato mai, che come il seme che nella terra marcisce e muore, darà frutti rigogliosi. Lo vedo e lo sento già dalle parole degli amici, soprattutto dei giovani, alcuni vicini, altri lontanissimi che attraverso Vittorio hanno conosciuto e capito, tanto più ora, come si può dare un senso ad «Utopia», come la sete di giustizia e di pace, la fratellanza e la solidarietà abbiano ancora cittadinanza e che, come diceva Vittorio, «la Palestina può anche essere fuori dell’uscio di casa». Eravamo lontani con Vittorio, ma più che mai vicini. Come ora, con la sua presenza viva che ingigantisce di ora in ora, come un vento che da Gaza, dal suo amato mar Mediterraneo, soffiando impetuoso ci consegni le sue speranze e il suo amore per i senza voce, per i deboli, per gli oppressi, passandoci il testimone. Restiamo umani.
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